Un volo interno, un giorno intero di “autobus” e altri quattro di trekking in quota solo per arrivare al punto di imbarco. Poi altri 120 km in rafting per scendere il Tamur , uno dei grandi fiumi himalayani.
Ma niente avrebbe fatto pensare che uno dei momenti più epici potesse essere una partita di calcio.
In una spedizione il gruppo è tutto.
E siamo stati fortunati di aver trovato un gruppo di appassionati di sport outdoor Spagnoli, Catalani e Italiani che in pochi giorni si muoveva come un sol uomo. La spedizione era organizzata da una compagnia rafting valdostana specializzata in Nepal e viaggi avventura. Diverse guide rafting, kayaker e piloti di parapendio, fratelli e sorelle separati alla nascita e dai passaporti insomma.
Il programma prevedeva la discesa di uno dei fiumi più inesplorati e selvaggi del mondo: il Tamur nell’East Nepal. Un angolo di mondo incastonato tra Tibet, India e Nepal con al centro uno degli ottomila più maestosi, il Kanchenjunga con i suoi 8586 metri il terzo degli undici giganti.
Il programma di avvicinamento, prima della vera e propria avventura, prevedeva quattro giorni di trekking in cresta toccando nel punto più altro i 3.000 metri e diversi villaggi.
Sullo sfondo costantemente la grande montagna, ma con sfuggenti viste sul Makalu e l’Everest. Il percorso era punteggiato da piccoli villaggi nei quali non mancavano mai tre cose: bambini, yak e un campo di calcio, probabilmente l’unico lusso che si possono permettere in un paese così dignitosamente povero.
Il vero spettacolo iniziava però quando si spegnevano i riflettori, apparendo lentamente cieli stellati con i quali abbiamo ormai perso ogni relazione, intensi e vivi come mai. Lo spettacolo teneva in serbo il fuoco d’artificio finale:
un’alba che colpisce come una lenta onda colorata di rosso le pareti innevate delle catene prepotentemente schierate a nord.
Finita la giornata di cammino montavamo il campo e preparavamo la cena. Eccetto il terzo giorno …
Il terzo giorno dopo aver montato il campo andiamo in perlustrazione della zona, a circa 2.000 metri di altezza, come facevamo di consuetudine. Sempre in cerca di una visuale inedita, un’immagine con la quale chiudere degnamente una giornata già ricca di viste spettacolari.
Troviamo un campo di calcio nel quale un gruppetto di locali, tutti giovanissimi, stava palleggiando senza troppa convinzione. Uno Spagnolo del gruppo si inserisce e inizia a palleggiare con loro. Nemmeno due tocchi e in campo si trovano i due gruppi schierati come per la finale di Coppa del Mondo. Loro tutti bassini, alcuni scalzi, altri in ciabatte e vestiti chi in pigiama chi in pantaloncini. Molte maglie sdrucite e vecchie ma rigorosamente di squadre blasonate europee. Sorrisi che ti rapivano.
Chi scrive, dopo un’infanzia passata e essere escluso da qualsiasi conta per formare una squadra per manifesta incapacità congenita, propende per fare l’arbitro. “I giorni successivi era bene avere i compagni pronti a salvarti senza remore se necessario” suggerisce l’istinto di sopravvivenza.
Il capitano nepalese si presenta con il modo tipico di chi appartiene a questa etnia “ABC Sherpa “ (Abc perchè non ricordiamo il nome). “Si parte bene” pensiamo: una partita a 2.000 di altitudine con ragazzini di etnia sherpa.
Inizia la partita. Una decina di gazzelle contro una decina di ippopotami, questa era la fotografia delle forme viventi in campo. Decine di deiezioni di yak spase sul campo si nascondevano come mine vietkong pronte a farti saltare in aria. Con le gazzelle che ne custodivano gelosamente la mappa.
Gli ippopotami giocavano però con tecnica e malizia, segnando la prima rete. Urla e abbracci in varie lingue latine. A un certo punto da bordo campo entra una ragazzina a corsa -scalza- e ruba la palla, senza alcun terzo uomo che ne certificasse l’ingresso. Gol. I nepalesi impazziscono, sembrava avessero vinto chissà quale premio.
La partita termina con un equo pareggio gazzelle-ippopotami tra chiacchiere in una lingua improbabile usando molto l’ausilio di qualsiasi arto disponibile. Una gioia condivisa, nonostante il fiatone e fossimo tutti piegati a libro (noi non loro).
Ci rendiamo anche conto che non avevamo spento il GPS durante la partita e questo ne è il faticoso risultato.
Con il posarsi del sole le temperature scendevano vertiginosamente e in pochi minuti tornammo chi nelle tende e chi al proprio villaggio. Ma comunque tutti uniti dalla sensazione di aver vissuto un’esperienza m.e.m.o.r.a.b.i.l.e.
Un fiume come quello di casa a Canyon Park, il torrente Lima, ha una portata media di 8-10 metri cubi al secondo. Il Tamur nel periodo secco, quello scelto per la spedizione, esibisce come un pavone i suoi 200/250 metri cubi. Ma il bello è che la cosa la scopri solo al momento di arrivo al punto di imbarco. (Nella stagione delle piogge, quando i monsoni ricoprono per mesi le montagne e le zone di acqua, si arriva a una media di 1.200/1.500).
La tensione era palpabile, anche per gente che in fiume ci va da una vita. Perché per noi semplicemente il fiume è tutta un’altra cosa.
Alla seconda rapida del primo giorno due dei sei componenti dell’equipaggio finiscono in acqua. L’esperienza alla fine ha giocato la sua parte ma abbiamo subito capito che sarebbero stati sei giorni parecchio indaffarati.
Gli ultimi due giorni il fiume regalava delle tregue nelle quali poter contemplare il paesaggio, i pochi abitanti delle zone circostanti con le loro attività sempre volte a procurarsi qualcosa da mangiare e soprattutto le spiagge ancora senza impronte sulle quali montare il campo per passare notti stellate. La sensazione di essere i primi visitatori ha sempre il suo fascino …
I primi due giorni sono stati particolarmente impegnativi e per fortuna c’è stato solo un “flip” (ribaltamento) di un raft con nessuna conseguenza. Il fiume alternava rapide lunghe e impetuose a tratti nei quali avevi tempo sostanzialmente per pensare a quelle successive, tenendoti perfidamente sempre sulle spine .
Alla fine però tutti i fiumi giungono in pianura, perdendo la propria energia e esuberanza iniziale, unendosi l’uno con l’altro, quieti e lenti in attesa di andare a morire da qualche parte. Difficile non trovare suggestive analogie.
Siamo arrivati quindi nelle sterminata pianura del Terai, al confine con l’India, un mondo lontano anni luce dal campo di calcio degli sherpa, altre storie, altra umanità. Quando eravamo in fiume a un certo punto agognavamo il ritorno alla normalità, alla tranquillità di sapere che non ci sono altre rapide in agguato o alla riconquista di una minima forma di comfort. Ma dal momento che scendi per l’ultima volta dal raft ti assale anche un’immensa onda di malinconia.
Questa è la droga che spinge un viaggiatore a sognare il prossimo viaggio, a riempire quel senso di vuoto che fa capolino nel nostro quotidiano: rivivere quel preciso istante infinitesimale nel quale gioia e malinconia trovano un equilibrio che non sarai in grado di provare in nessun altro momento.
Il percorso della spedizione Rafing Tamur 2017
Compagnia Rafting Organizzatrice: Totem Adventure www.totemadventure.com/
Trip Leader: David Alemanni
Equipaggio Toscano: Rockonda Rafting e Canyon Park
Per fare Rafting in Val di Lima, vicino a Canyon Park visita www.valdilima.org/it/rafting/