Così , con la sincerità di un ragazzino prima dell’interrogazione inattesa di aritmetica, se ne uscì Alessandro De Rose, detto Alex, atleta del Redbull Cliff Diving Team sull’antico Ponte Nero di Canyon Park.
L’occasione era di quelle che ti restano sotto pelle per gli anni a venire. La RedBull aveva scelto Canyon Park per fare delle riprese promozionali per il lancio delle World Series dei tuffi in altezza a Polignano a Mare di lì a poche settimane.
Sembrava di essere sul set di un film hollywoodiano, droni per aria, fotografi e video-maker in assetto di guerra, subacquei in acqua (sotto) e gommoni in superficie.
“No non lo sappiamo che sei una pippa” veniva da rispondere.
Alex, nel suo costume rigorosamente RedBull e una cassa di lattine (sempre RedBull) che lo marcavano stretto come una guardia del corpo, era in ferie. Si, in ferie. A volte gli atleti, specie all’inizio della carriera, hanno storie che li rendono campioni a prescindere. Alessandro, calabrese di origine, era un cameriere in un ristorante di Triste dove aveva l’opportunità di allenarsi tuffandosi in mare nei momenti di buco.
Aveva il ristorante anche come sponsor personale.
Alessandro De Rose era stato ammesso come Wild Card (in pratica per il rotto della cuffia) alle World Series di Polignano a Mare insieme ai titani del Cliff Diving provenienti da tutto il mondo. Non era nessuno e lo sapeva. Soprattutto ci teneva a ricordarlo.
21 metri. Questa era l’altezza del tuffo dal ponte di Canyon Park. 10 metri la profondità del fiume in quel punto e 80 km/h la velocità di impatto. “Ciack si gira!”
Alex era visibilmente teso, il tuffo era tecnicamente difficile, almeno il primo. Tre subacquei erano in assistenza sul fondo. Ma come staccò i piedi dal ponte romano tutto diventò fluido. Magia pura.
Ci regalò ben cinque tuffi, con l’urlo liberatorio in fondo al canyon. Fotografi da ogni dove erano arrivati a immortalare lo spettacolo e il drone ronzava sopra le nostre teste.
Poi Alex tornò ai propri tuffi e alla vita di sempre. Ma ancora per poco.
Lo sport infatti è uno di quei fenomeni che ancora riesce a farti sognare. La realtà può superare l’immaginazione e la bella notizia è che è negli sport minori -per quanto brandizzati e pubblicizzati- il merito alla fine conta ancora qualcosa. Specie se non sei ancora qualcuno.
Il suo urlo in acqua, appena tirata la testa fuori dalle bolle, ha fatto gelare il sangue a tutti noi che qualche settimana prima eravamo sul ponte con lui. Ma con i piedi ben saldi al terreno.
Non solo, fu convocato immediatamente per i mondiali di nuoto di Budapest dove si aggiudicò una medaglia di bronzo in una specialità non strettamente legata alla sua preparazione.
Sono arrivati gli sponsor, quelli veri, i premi delle riviste sportive e la notorietà. Ma Alex è rimasto Alex. Manca la musica di sottofondo vero?
Nelle settimane successive alla pubblicazione dei video sono arrivati “gli altri”. I campioni della domenica, gli adepti della GoPro, dei giovani in cerca di brivido che hanno preteso di tuffarsi senza alcuna ispezione , assistenza , preparazione e, cosa peggiore di tutte, un briciolo di paura.
L’umiltà è la più grande delle virtù di un vero campione. La paura ne è la semplice presa di coscienza.
Se sei una pippa poi magari vinci anche.